La mia intervista a “La Nuova Ferrara”

calvano_nuovada “La Nuova Ferrara del 12/10/2016

di Marcello Pradarelli – Ferrara

Verso il referendum – Tensioni nel Pd, ma Calvano è tranquillo

Il segretario legge il momento del partito dopo la direzione nazionale e invita a una ricerca della compattezza

Paolo Calvano non vede reali pericoli di scissione nel Pd dopo la direzione nazionale. Ma ritiene che le settimane che separano dal referendum debbano essere usate per recuperare un senso di comunità che il Pd sembra aver smarrito.

Ha partecipato lunedì ai lavori della Direzione?

«Sì, e ho condiviso la relazione del segretario. Renzi ha detto chiaramente che dopo la riforma costituzionale nel 2018 non si andrà a votare con l’attuale Italicum, quindi questo tema della legge elettorale non esiste più.»

Si respirava aria di scissione?

«Si respirava l’aria di un partito che non ha timore di confrontarsi anche in modo aspro e di farlo addirittura in diretta streaming nazionale, cosa che altri avevano promesso, mi riferisco agli amici cinquestelle, e di cui si sono dimenticati.»

Chi ha deciso di votare no come Bersani, o è un passo dal farlo come Speranza e Cuperlo, a cosa mira? A far cadere il governo o a riprendersi il partito al congresso?

«Io credo che non possiamo interpretare il referendum come un congresso del Pd, perché la riforma della Costituzione è una elemento centrale per la vita del Paese. Sono convinto che ai cittadini questo sia molto chiaro e che anche i dirigenti del Pd sapranno anteporre l’interesse generale alle questioni interne, soprattutto alla luce delle aperture reali di Renzi, in caso contrario apparirebbe come un posizionamento di corrente, che non aiuterebbe il Paese, oltre a non aiutare il Pd.»

La minoranza voleva che Renzi scendesse finalmente a patti, questo risultato è stato ottenuto o è un’altra mossa tattica del premier-segretario?

«Renzi ha offerto un patto vero, concreto, che dà risposte a molte delle domande poste dalla minoranza. Quindi ci sono le condizioni per votare tutti Sì il 4 dicembre.»

Ma l’Italicum sarà cambiato solo dopo il referendum.

«La proposta di Renzi prevede un gruppo di lavoro del Pd che discute al suo interno e che in questi due mesi si confronta con le altre forze politiche per incardinare una proposta definita. Mi pare un percorso ben delineato.»

C’è lo scoglio dei tempi. La proposta andrà definita ragionevolmente presto, non a ridosso del 4 dicembre.

«Il problema più che legato ai tempi è legato alla fiducia. Nelle relazioni interne al Pd, oggi più che mai, tutto si basa sulla fiducia. Fiducia che non deve essere tanto nei confronti del segretario, ma di un’intera direzione nazionale che è stata testimone di questa proposta. Dobbiamo, tutti, recuperare un po’ di fiducia nella comunità politica che è il Partito Democratico.»

Che differenza c’è tra il No di D’Alema è quello di Bersani?

«Ci sono differenze di motivazione, ma li accomuna una cosa: lasciare le cose come sono. Se prevalesse il No la prossima riforma si farà, forse, fra 10 anni.»

Da segretario regionale di un Pd meno diviso che altrove che consigli si sente di dare per evitare una spaccatura definitiva del Pd?

«Stare al merito delle questioni. Faccio un esempio: come consiglieri regionali del Pd siamo concordi. pur con tutte le nostre diverse sensibilità, nel votare Sì al referendum, questo perché abbiamo discusso nel merito, a partire dalla riforma del Titolo V sui rapporti fra Stato e Regioni.»

Se il Pd è arrivato a questo punto significa che sono stati commessi degli errori. Quali sono le colpe di Renzi?

«Renzi ha sbagliato a personalizzare il referendum, ma se ne è ampiamente scusato. È un’ammissione importante, anche perché denota la capacità di un leader di riconoscere i propri errori.»

Bersani e compagni dove hanno sbagliato?

«Nel non mettere a valore, prendendosi anche il giusto merito, le tante cose di sinistra che questo governo ha fatto, penso alle unioni civili, alla legge sul “dopo di noi”, all’accordo sulle pensioni con i sindacati, alla battaglia del governo per cambiare le politiche economiche e dell’accoglienza in Europa. Avrebbero potuto mettere in risalto anche queste cose, piuttosto che solo quelle che hanno creato attriti o divisioni.»

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